L’artista sui social: follower sì, ma senza opera

di un osservatore poco distratto

Un tempo si dipingeva in silenzio. O si scolpiva in un atelier polveroso, lontano dagli sguardi. L’artista era, nel bene o nel male, un artigiano del mistero. Oggi l’arte si fa in diretta, tra una story e un reel, con lo smartphone sempre a portata di pennello. Benvenuti nell’epoca dell’artista 2.0: seguaci tanti, opere poche, ma sempre con filtro e didascalia motivazionale.

Il social è diventato lo studio, la galleria, il portfolio e il confessionale. E poco importa se non si produce nulla di concreto: basta produrre contenuti. L’artista contemporaneo sa che l’algoritmo ama il dietro le quinte, lo sketch, il dettaglio della tela, il “work in progress” che non finisce mai. La parola d’ordine è condividere: idee, spunti, tramonti, attrezzi, tè matcha. Tutto fa curriculum, tutto fa presenza.

Le opere? Raramente sono al centro. Spesso sono sfondo per l’autoritratto, comparse silenziose di un racconto che parla di , non del lavoro. L’arte è storytelling, l’artista è personaggio. Ha un tono di voce, un’estetica, un’identità visiva. E soprattutto, ha una community, che lo sostiene con cuoricini, commenti tipo “Sei luce” e reazioni entusiaste a ogni nuovo post, anche se l’ultimo quadro è stato pubblicato nel 2021.

L’algoritmo detta legge: se l’opera è troppo complessa o troppo silenziosa, non funziona. Serve qualcosa che acchiappi: colore, parola chiave, musica di tendenza. Così l’artista impara a compiacere la macchina, più che lo sguardo umano. Più like, più visibilità. Più visibilità, più inviti. Ecco che nasce l’artista che performa se stesso, che dipinge in live streaming, che parla all’obiettivo come un coach motivazionale: “Ricordate, credete nella vostra arte”.

Intanto, i musei languono, le gallerie serie chiudono o si rassegnano al mercato dei “nuovi talenti virali”, e il critico — se ancora esiste — si limita a commentare con l’emoji del fuoco.

Ma attenzione: questo sistema non premia chi è bravo, premia chi è costante. Il successo è una questione di frequenza di pubblicazione, non di qualità. E l’artista che tace per pensare, per studiare, per crescere, scompare dal radar. Fuori dal feed, fuori dal mondo.

In questo circo digitale, l’opera è un pretesto. L’artista è contenuto. L’arte è algoritmo. E l’algoritmo, ovviamente, non guarda, scorre.