Mostre autoprodotte: l’arte (pre)paga lo spazio
di un osservatore poco distratto
Esiste una verità non detta nel mondo dell’arte contemporanea da salotto: oggi non serve più essere scoperti, basta affittare. Sì, perché molte gallerie — e mettiamoci pure qualche fondazione e qualche spazio “ibrido” — hanno smesso da tempo di selezionare artisti. Più semplice: li ospitano. Anzi, li affittano.
Funziona così: l’artista, reduce da una collettiva, da un premio e da una residenza, decide che è tempo del “grande passo”. La mostra personale. L’occasione per dire al mondo: “Ci sono anch’io”. Cerca una galleria, la trova, scrive, propone, spera. Ma la risposta arriva gentile e diretta: “Saremmo felici di accoglierla. Il costo per la settimana è di X euro, a cui si aggiungono stampa, catalogo, inviti e, se desidera, testo critico”. Voilà. Arte fai-da-te in formato boutique.
La galleria non rischia nulla: incassa l’affitto, spesso anche una percentuale sulle eventuali vendite, e si tutela dietro formule del tipo “noi offriamo solo lo spazio, la direzione artistica resta all’artista”. Tradotto: “faccia come vuole, purché paghi e non sporchi i muri”.
E l’artista? Lusingato. Perché, alla fine, la mostra c’è. Il vernissage pure. Arrivano amici, parenti, colleghi. Qualche curioso. Un fotografo. E il critico? C’è anche lui. Scrive due cartelle dense di frasi come “l’artista indaga la forma come superficie emotiva” oppure “un dialogo teso tra gesto e silenzio”. Il testo va nel catalogo, che verrà letto da pochi e sfogliato da nessuno.
Il giorno dopo l’inaugurazione, il vuoto. La galleria resta deserta, l’artista guarda le sue opere appese e si sente, per un attimo, davvero professionista. Poi inizia a fare i conti. Fra affitto, stampa, trasporto, cataloghi, prosecco e buffet, la mostra è costata come una piccola vacanza all’estero. Ma vuoi mettere? L’arte ha bisogno di investimenti — si dice — e questa, in fondo, è la strada giusta.
Peccato che nessuno spieghi che una mostra pagata non è un riconoscimento, è un acquisto. E che la vetrina non basta a fare il negozio. Il mercato dell’arte vero funziona al contrario: l’artista viene selezionato, rappresentato, promosso. Qui invece è lui che sostiene tutto. E il sistema ringrazia, ingrassa e tace.
Le mostre autoprodotte sono l’illusione definitiva: la possibilità di sembrare inseriti in un circuito, quando in realtà si è semplicemente clienti di un servizio culturale. Come affittare una sala per il proprio compleanno, ma con cornici e testi critici.