L’arte non è un passatempo: è una necessità.

Siamo circondati da artisti. O meglio: da pseudo artisti. Curriculum che traboccano di mostre “personali” fatte nella saletta comunale di qualche centro culturale di provincia, magari inaugurate da un assessore di passaggio e accompagnate da un buffet a base di pizzette e vino in plastica. Oppure, nel tentativo di alzare il tiro, partecipazioni a “eventi collaterali” di Biennali e fiere internazionali, ottenute pagando profumatamente la possibilità di esporre un’unica opera in un corridoio laterale, spesso ignorata da tutti.

Ma fa curriculum. E nel mondo dell’apparenza, quello basta.

Così, ci si presenta come “artisti internazionali”, si batte cassa proponendo corsi di pittura o “laboratori espressivi” a pagamento, con la scusa che “l’arte è per tutti”, che “non ci sono regole”, che “basta esprimersi”. Peccato che a volte dietro queste attività non ci sia alcuna competenza reale, ma solo l’esigenza di arrotondare una pensione o uno stipendio pubblico, sfruttando l’ingenuità (o la vanità) di chi vorrebbe “fare arte” per sentirsi vivo.

Il risultato? Una proliferazione di artisti improvvisati che si autoalimentano a vicenda: allievi che diventano maestri dopo un anno, mostre collettive dove si espone di tutto, tranne la qualità. Un sistema autoreferenziale che galleggia su corsi, laboratori, bandi, call, autoproduzioni e contributi a fondo perduto. L’arte, quella vera, se ne sta fuori. Zitta. Invisibile.

È ora di dirlo con chiarezza: l’arte non è terapia, non è hobby, non è intrattenimento. Non è un’attività da intraprendere solo perché “si ha tempo libero”, perché “ci si è sempre sentiti creativi”, o peggio, perché “ce lo hanno detto gli amici”. L’arte, quella vera, è una vocazione, una necessità interiore, una fiamma che brucia a costo della fatica, della solitudine e del fallimento. È studio, tecnica, dedizione. È una strada lunga, spesso ingrata, dove non si arriva da un giorno all’altro.

Chi si avvicina all’arte dovrebbe prima di tutto porsi una domanda semplice, ma scomoda: “Perché voglio fare arte?”
È un’urgenza, una chiamata, un bisogno autentico di esprimere qualcosa che non si può dire altrimenti?
Oppure è solo un modo elegante per riempire la noia quotidiana?

Perché se è la seconda, ci sono alternative migliori: il giardinaggio, la ceramica amatoriale, il bricolage. Tutte attività dignitose, appaganti, e decisamente più oneste.

L’arte non ha bisogno di altri dilettanti che si autocelebrano. Ha bisogno di verità. E la verità, come sempre, fa selezione.