Come distinguere un’opera seria da una “crosta”

L’arte astratta è diventata il rifugio perfetto per chi non sa disegnare. Non devi saper fare un volto, un corpo, una prospettiva. Basta qualche macchia, due linee sbilenche e via: “è astratto, non capisci”. Peccato che non funzioni così. Perché anche nell’astrazione, quella vera, servono mestiere, sensibilità e cultura visiva. E si vedono.

1. Il segno non mente

Un pittore che ha mano, la mano si vede. Il segno è sicuro, ha ritmo, non si vergogna di stare sulla tela. Anche se è una linea storta, è voluta. È come il gesto del calligrafo: libero ma preciso. Chi invece si improvvisa, scarabocchia insicuro, gira attorno alla forma, cerca di camuffare il vuoto con effetti, colature e gesti teatrali. Ma si sente che non sa dove andare.

2. Il colore ha voce (quando sai usarlo)

Nell’arte astratta, il colore è struttura, emozione, profondità. Un artista vero sa farlo parlare, anche con pochi toni. Sa che un blu può pesare, un arancione può urlare, che i rapporti tra i colori devono tenere l’opera in piedi come travi portanti. Chi invece mescola a caso spera che la tavolozza faccia il miracolo da sola. E il risultato è fango. Un impasto piatto, senza respiro.

3. La composizione è una musica (non un caos)

Un’opera astratta riuscita è come una partitura: c’è equilibrio, tensione, silenzio, respiro. Anche se non c’è un soggetto, c’è un ordine interno. Le forme dialogano, si rincorrono, si contrastano. C’è ritmo, c’è pausa, c’è una logica visiva. Chi non ha studiato, invece, butta tutto in mezzo come capita, nella speranza che sembri “espressivo”. Ma è solo rumore.

4. Materiali e superfici non si improvvisano

Un lavoro serio si riconosce anche da come è fatto: la tela è tirata bene, i materiali sono scelti con cura, la superficie è lavorata, stratificata, controllata. Non ci sono sbavature, colla che cola, acrilico di discount steso a secchiate. Anche la materia ha dignità: chi fa arte vera la rispetta. Chi no, si affida a “trucchi da laboratorio” per coprire l’inconsistenza.

5. Coerenza e poetica: c’è un mondo dietro

Un’opera astratta che funziona è la punta di un iceberg: sotto c’è una ricerca, una coerenza, magari anni di lavoro. Non è un caso isolato, ma parte di un percorso. Ha radici. Ha un lessico visivo riconoscibile. Chi fa croste, invece, cambia stile ogni due settimane, perché copia, perché si annoia, perché non ha niente da dire. E si vede. Si annusa lontano un chilometro.

E allora: come si fa a leggere un’opera astratta?

Non bisogna essere storici dell’arte per capirci qualcosa. Basta osservare con attenzione e con onestà.

  • Chiediti: regge? Sta in piedi da sola o è solo una posa?
  • I materiali ti sembrano scelti, pensati, o messi lì a caso?
  • Il colore ti guida? O ti confonde?
  • C’è qualcosa che ti spinge a tornare a guardarla? O la dimentichi dopo 3 secondi?

L’arte astratta, quella vera, è tutta in quel “non so cosa” che ti tiene lì. Non grida, non si giustifica con un testo di cinque cartelle. Ti conquista in silenzio.

Esempi di artisti astratti “veri” (per fare un po’ di ordine)

  • Piero Dorazio – Geometria, luce, ritmo. Un uso del colore che è architettura pura.
  • Afro Basaldella – Materia e segno che diventano poesia visiva.
  • Hans Hartung – Il gesto come scrittura visiva, ma controllata, intensa, mai gratuita.
  • Antoni Tàpies – Superfici vive, stratificate, pensate come pelle, non come fondo.
  • Franz Kline – Bianco e nero, potenza assoluta, ma con equilibrio da samurai.
  • Sean Scully – L’astrazione come meditazione, costruita a moduli, mai banale.
  • Giulio Turcato – Visione cosmica, uso personale della materia, coerenza in ogni fase.

Conclusione:

L’arte astratta non è un passaporto per l’improvvisazione. Al contrario: è uno dei linguaggi più esigenti, perché toglie tutti gli alibi. Quando non c’è “soggetto”, resta solo la pittura. E la pittura, o la sai fare, o no. Nessuna scorciatoia.