Il mito del genio incompreso

Quando l’assenza di riconoscimento diventa medaglia al valore artistico

C’è una figura che attraversa con costanza il mondo dell’arte: quella del genio incompreso. È l’artista che non viene capito, non viene accettato, non viene premiato. Ma invece di domandarsi perché, ha una risposta pronta: è troppo avanti.
La colpa è del sistema, del pubblico, dei critici. Loro non vedono. Non capiscono. Lui sì.
Il genio incompreso è spesso autodidatta, refrattario alle scuole, alle critiche, ai confronti. Ha un linguaggio suo, uno stile che difende con orgoglio, e un curriculum pieno di mostre autoprodotte. Non cerca dialogo: cerca conferma. E se non la trova, si convince che è proprio perché è fuori categoria.

Questo atteggiamento ha un suo fascino romantico. L’artista come eroe solitario, martire dell’originalità, figura tormentata che combatte contro l’omologazione. Ma dietro la retorica spesso si nasconde una realtà più semplice: l’opera non funziona. Non perché sia rivoluzionaria, ma perché è fragile, mal costruita, povera di pensiero.
Eppure, il genio incompreso costruisce intorno a sé una mitologia. Racconta rifiuti ricevuti, ingiustizie subite, silenzi immotivati. Ogni mancato invito, ogni critica, ogni selezione mancata diventa conferma della sua unicità.
E intanto il tempo passa, le opere si accumulano, le esposizioni si ripetono, tutte uguali.
E il pubblico continua a mancare.

Il sistema dell’arte, che ha il fiuto per ogni narrativa, ha imparato a sfruttare anche questo. Festival e collettive a tema “Outsider”, “Indipendenti”, “Non Allineati” si moltiplicano. L’artista incompreso diventa categoria.
E in molti ci si infilano, convinti che basti l’etichetta per essere davvero alternativi.
Ma essere fuori dal sistema non significa automaticamente avere ragione. Come essere dentro non significa automaticamente essere buoni artisti. La differenza la fa il lavoro, non la posizione.

Chi lavora davvero nell’arte sa che la mancanza di attenzione non è sempre segno di qualità. A volte è solo segno di immaturità, ripetitività, incoerenza. E che il riconoscimento si costruisce nel tempo, non nell’immediato.
Non si ha diritto al pubblico: lo si guadagna.

Il genio incompreso, invece, si autocelebra. Si convince che se non viene capito, è perché è superiore. E così evita il confronto, rifugge la crescita, si chiude nella propria estetica impermeabile.
Il rischio? Che anche se un giorno qualcuno lo noterà, non troverà nulla di nuovo da vedere.

Il vero artista non cerca di essere frainteso. Cerca di essere compreso, ma non si svende per esserlo. E se non viene accolto, continua. Ma non si rifugia nel vittimismo. Si rifugia nel lavoro.